Mt 14,22-33

Avvolti dal buio, sospesi tra cielo e abisso, i discepoli sono lontani dal punto di partenza e da quello
di arrivo. Tornare o farsi coraggio e proseguire? La situazione sembra essere senza via d’uscita.
Gesù è sul monte – a pregare – e la barca è già molto distante da Lui. Così è, a volte, della nostra
vita e della vita della Chiesa. Ci chiediamo verso dove stiamo camminando, ci sentiamo smarriti – e
Gesù ci sembra lontano. Eppure era stato proprio Lui a costringere i discepoli a navigare… ma
allora, dov’è la salvezza?
La narrazione del Vangelo ci assicura che Lui non distoglie mai lo sguardo da noi, dalle nostre vite.
“Nulla è lontano da Dio” (Conf. IX,11.28) dice S. Monica. È la certezza che la abita e che comunica
al figlio Agostino: “nulla è lontano da Dio”. Anche quando la barca è lontana, sempre più lontana,
in realtà Lui veglia.
Nel culmine dello sconvolgimento i discepoli gridano di paura, avevano visto uno sconosciuto
camminare verso di loro, sul mare. Un fantasma.
È il liminare del giorno, eppure le tenebre che si stemperano non bastano a riconoscere il Signore, a
riconoscere quell’uomo con cui tanto avevano condiviso. Serve la sua voce, il suo tono familiare.
Se ci pensi, sono pochi quelli a cui puoi dire “sono io” per farti riconoscere. Gesù, con questo suo
modo di presentarsi, ci racconta di una relazione familiare. È così anche della nostra vita: per
riconoscere la sua voce nella tempesta, ci serve una relazione che sia familiare, consueta, intima.
Colui che cammina sulle acque non è un fantasma, ma Io-Sono, Gesù in persona. È una vera e
propria rivelazione, che ci riporta a quella del Dio dell’Esodo. È il Dio della storia, della storia dei
nostri padri e delle nostre piccole storie personali. È il Dio che con la sua voce, a volte sottile, può
cambiare la storia o la nostra lettura della storia, perché spesso è questa la salvezza: riconoscerlo anche nella tempesta che non desiste.
La risposta di Pietro – quel “se sei tu…” quasi di sfida – ci parla delle sue titubanze, della sua
paura, del cammino di purificazione che riceve in dono da questa prova e che lo condurrà al
coraggio di gridare “Signore, salvami!”. Ci parla anche dello slancio per l’impossibile che ha
accompagnato tutta la sua vita. Nella tempesta avrebbe potuto chiedere una soluzione, un segno
grandioso che manifestasse la potenza di Dio e invece ci spiazza: se sei tu, se sei davvero colui che
ha fatto tutto nella mia vita, allora fammi fare la cosa più grande del mondo, fammi camminare
sulle acque, come fai tu, fammi passeggiare sulle mie paure – come sai fare tu! Quasi ad anticipare
l’annuncio di Gesù: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più
grandi di queste (Gv 14,12).
Alla realtà frammista di Pietro, nella quale tutti possiamo riconoscerci, fa contrasto la risposta totale
e pronta di Gesù. Subito offre la sua mano. Tutta la nostra vita si gioca in questa tensione tra il
nostro desiderio e la sua mano tesa.
Alla fine del dialogo tra Gesù e Pietro, appaiono di nuovo i discepoli a ricordarci che la salvezza
non è mai un fatto privato. Il grido di Pietro, il suo combattimento con la sfiducia e la paura e il suo
finale atto di abbandono hanno salvato tutta la comunità dei discepoli. Salvati dalla tempesta, ma ancor più condotti alla salvezza di chi sa finalmente riconoscere il Figlio di Dio nei travagli della vita.